Know Your Customer (KYC): conoscere la controparte per prevenire danni reputazionali
Conoscere a fondo la controparte economica è essenziale per la valutazione del rischio e per tutelare l’impresa. Il Know Your Customer (KYC), nato come obbligo normativo, sta evolvendo in leva strategica per la gestione del rischio e per il presidio reputazionale: conoscere a fondo la propria controparte consente di proteggersi e di cogliere opportunità in modo più selettivo e sicuro.
Cos’è il KYC
Per KYC (Know Your Customer) si intende l’insieme dei processi che le istituzioni finanziarie, le aziende vigilate e sempre più spesso anche le imprese non obbligate adottano per identificare, verificare e monitorare l’identità dei propri clienti, con lo scopo di prevenire il riciclaggio di denaro, il finanziamento al terrorismo e le frodi finanziarie.
Qualche esempio? Il KYC è indispensabile nell’onboarding digitale per l’apertura di conti correnti, nell’accesso a servizi finanziari, nella sottoscrizione di polizze assicurative, nell’avviare relazioni commerciali.
Ogni relazione commerciale e finanziaria comporta un certo grado di rischio. Il KYC consente di valutare il profilo del cliente sin dal primo contatto, classificandolo secondo livelli di rischio (basso, medio, alto) e consentendo così l’attivazione di controlli proporzionati.
Attraverso una scrupolosa verifica dell’identità, della provenienza dei fondi, della struttura societaria e dell’attività economica della controparte si riducono i rischi di:
- coinvolgimento in operazioni illecite;
- danni reputazionali;
- sanzioni da parte delle autorità di vigilanza.
In Europa, le direttive antiriciclaggio UE (AMLD) rendono obbligatorio il KYC per numerose categorie di soggetti. Ma oggi, sempre più realtà scelgono di estendere volontariamente i controlli KYC a clienti e partner, anche in assenza di obblighi normativi, per rafforzare i propri presìdi reputazionali e prevenire esposizioni critiche, consapevoli che un cliente opaco, con connessioni sospette o coinvolto in procedimenti giudiziari, può compromettere la stabilità e l’immagine dell’azienda.
KYC: una strategia proattiva e lungimirante
Le imprese che investono in procedure KYC efficaci e intelligenti non solo si mettono al riparo da sanzioni, ma dimostrano responsabilità, trasparenza e affidabilità.
Inoltre, un KYC ben progettato consente di migliorare l’efficienza interna, automatizzando i controlli e riducendo il rischio umano, oltre che di conoscere meglio il cliente, favorendo offerte su misura e relazioni durature.
Il KYC, dunque, è molto più di una procedura tecnica. È un principio guida per chi fa business in modo responsabile. In un contesto in cui rischi legali, finanziari e reputazionali si intrecciano, conoscere il proprio cliente non è solo un obbligo normativo, ma una scelta di responsabilità e lungimiranza: chi adotta un sistema KYC solido e flessibile, getta le basi per un modello di business sano, conforme e competitivo nel lungo termine.
KYC: prima linea di difesa nei settori non finanziari ad alto rischio
Il KYC (Know Your Customer) è uno strumento cruciale non solo per gli istituti finanziari, ma anche per un’ampia gamma di settori industriali, molti dei quali tradizionalmente considerati a basso rischio e oggi sotto crescente pressione reputazionale.
Qualche esempio? Si pensi al comparto utilities (energia, acqua, gas): dove le relazioni con enti pubblici e clienti industriali rendono il KYC cruciale. La verifica delle controparti aiuta a prevenire infiltrazioni criminali e a garantire che le forniture non finiscano a soggetti sanzionati o coinvolti in attività fraudolente. Inoltre, nel settore energetico, le collaborazioni transfrontaliere richiedono un controllo rigoroso della compliance normativa.
Nella gestione dei rifiuti, poi, il rischio è duplice: ambientale e legale. Il traffico illecito di rifiuti è una delle attività più lucrose per la criminalità organizzata. Attraverso il KYC, le aziende possono mappare in modo affidabile la catena di gestione dei rifiuti, verificare la licenza e la conformità dei partner, riducendo il rischio di essere coinvolte, anche indirettamente, in attività illegali. Ma anche il comparto della moda e del lusso è interessato dal rischio di illegalità. Le aziende del settore sono chiamate, sempre più, a dimostrare la tracciabilità delle loro supply chain e il KYC consente di verificare la legalità e l’etica dei fornitori, in particolare nei Paesi a rischio, e di proteggersi da danni reputazionali dovuti a soggetti sanzionati, politicamente esposti o coinvolti in reati finanziari o a scandali legati a sfruttamento.
KYC: un antidoto contro i rischi reputazionali
Conoscere la controparte non è più soltanto una questione di verifica documentale o anagrafica: è diventato un processo multidimensionale che tocca aspetti reputazionali, legali, geografici e sociali. Per questo motivo il concetto di Know Your Customer si evolve nel tempo e si adatta alle situazioni, integrando pratiche che affondano le radici nel risk management reputazionale, nella compliance delle terze parti e nella sostenibilità.
Come evidenzia Cheope Risk Management, azienda specializzata nella gestione dei rischi recentemente acquisita da Abbrevia, se in origine il KYC serviva a identificare l’identità del cliente e a garantire il rispetto delle norme antiriciclaggio, oggi rappresenta un punto di partenza fondamentale per proteggere l’impresa da rischi indiretti. Infatti, nella selezione di un cliente o partner commerciale sempre più attenzione viene data a:
- presenza di procedimenti giudiziari o reati d’impresa (es. bancarotta, corruzione, frodi fiscali);
- opacità societaria (si pensi a società anonime, fiduciarie, strutture non trasparenti);
- localizzazione geografica in giurisdizioni a rischio o soggette a sanzioni internazionali;
- conflitti di interesse e legami potenzialmente pericolosi;
- esposizione mediatica negativa, anche in assenza di sanzioni ufficiali;
- Persona Politicamente Esposta (PEP), inclusi familiari e soggetti collegati;
- uso di strumenti non tracciabili, come contante, prepagate, crypto wallet, canali non bancari di invio fondi;
- storico delle relazioni commerciali, contenziosi, inadempienze o valutazione del rischio.
Questi fattori costituiscono red flags non rilevabili nei tradizionali report finanziari ma con impatti potenzialmente devastanti in termini di rischio reputazionale, sanzionatorio e operativo.
Le imprese più evolute adottano ormai un approccio strutturato alla due diligence reputazionale, articolato in tre fasi operative, che si affiancano al processo KYC classico e che prevede: pre-valutazione della controparte con la raccolta di dati da fonti ufficiali, registri, banche dati giudiziarie e open source, monitoraggio dinamico, con osservazione costante di variazioni nel rischio, mutamenti societari, aggiornamenti normativi, escalation con approfondimenti investigativi e coinvolgimento delle funzioni di compliance in caso di anomalie.
Un aspetto da tenere in considerazione è che il KYC non riguarda solo la conformità, ma anche la valutazione dell’affidabilità e solvibilità del cliente nel medio-lungo termine. Dati non finanziari come i cambi frequenti di sede o denominazione, le sanzioni internazionali o la mancanza di trasparenza contabile rappresentano elementi determinanti per la credit policy aziendale.
Da obbligo normativo legato all’AML (Anti-Money Laundering), il KYC si è trasformato in un elemento chiave della governance aziendale moderna.
Oggi, l’impresa che sceglie attivamente i propri interlocutori in base a criteri etici, reputazionali e normativi dimostra una forma concreta di responsabilità sociale d’impresa.
Il KYC non deve essere inteso come una barriera d’ingresso, ma come un fattore abilitante per costruire relazioni commerciali solide, coerenti con i valori aziendali e allineate con compliance, standard ESG e legalità.
Il KYC sta diventando un pilastro della strategia aziendale. Adottare un approccio strutturato al KYC significa non solo rispettare la legge, ma garantire un futuro etico, sostenibile e competitivo alla propria impresa.