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Il creditore ha diversi modi per poter cercare di recuperare un credito e le tempistiche per farlo sono lunghe e dispendiose in buona parte dei casi

Il creditore ha diversi modi per poter cercare di recuperare un credito e le tempistiche per farlo sono lunghe e dispendiose in buona parte dei casi.

La maggior parte delle imprese italiane, siano esse di grandi o di piccole dimensioni, purtroppo hanno avuto a che fare con dei clienti o partner commerciali che per un motivo o per l’altro non sono riusciti a ripagare il proprio debito e sono quindi diventati insolventi.
Cosa fare quindi nei panni del creditore se non rivolgersi al proprio legale ed andare a giudizio, ovviamente dopo non essere riusciti a recuperare il proprio credito per via stragiudiziale.

A questo punto è utile sapere quali siano le opzioni possibili per l’imprenditore o per l’avvocato che lo assiste che si trova in questa situazione.
Dal punto di vista legislativo le possibilità sono 3: il procedimento di cognizione ordinaria, il procedimento sommario di cognizione, il procedimento di cognizione.
Il primo procedimento è quello caratterizzato da un’istruttoria piena e si dovrebbe poi concludere con una sentenza di condanna di pagamento; il secondo è più recente ed in teoria più breve, si avvia con un ricorso e non una citazione e si conclude con un’ordinanza.
La terza modalità è quella preferita e sulla quale ci soffermeremo e cioè quella relativa al procedimento di ingiunzione che avviene in due fasi: la prima consiste in un ricorso avviato dal creditore che si conclude con un decreto previa presentazione di informazioni e prove sulla reale esistenza del credito; la seconda, eventuale ed in contradditorio, ha luogo se il debitore risponde instaurando un giudizio ordinario di cognizione.
In tutti e tre i casi si cerca di ottenere la certificazione dell’esistenza del credito da parte del Giudice.
Se poi nonostante la condanna del giudice il debitore non voglia pagare si passa poi all’esecuzione forzata ed al pignoramento dei beni mobili e immobili o al pignoramento presso terzi come nei casi del quinto dello stipendio, della pensione o del conto corrente.

Le condizioni per poter depositare un ricorso in Cancelleria per il decreto ingiuntivo sono fondamentalmente la liquidità del credito, cioè che questo sia predeterminabile come ammontare ed esigibile, e deve risultare da prova scritta come gli estratti autentici delle scritture contabili previste dal Codice Civile o quelle previste dalle leggi tributarie, regolarmente tenute.
Dopo accettato il ricorso il debitore viene intimato a pagare entro 40 giorni dalla notifica con l’avviso che se non presenterà ricorso partirà l’esecuzione forzata.
Prima dell’incasso ovviamente ci sono diverse fasi dall’eventuale termine delle tempistiche per presentare ricorso e quindi dall’apposizione della formula esecutiva; si dovrà aspettare l’esito della notifica dell’atto di precetto ed in seguito l’esito dell’eventuale pignoramento. Anche  arrivati a questo punto manca ancora la fase di fissazione delle aste e solo alla fine il ritiro delle somme.
Nel mezzo ci sono una serie di lassi di tempo burocratici che dilatano la durata complessiva come per esempio la richiesta di notifica all’ufficiale giudiziario che a seconda di come questa venga svolta può impiegare dai 7 ai 20 giorni o gli 80/90 giorni per l’esecuzione delle aste (dati PWC Legal_Quaderni MCC).

A questo punto è possibile stimare la durata potenziale nella quale comunque mancano i tempi utili al legale difensore per poter svolgere le  varie pratiche che si aggirano tra i 14 e i 35 giorni.
La durata minima teorica complessiva è quindi stimata in 184 giorni mentre quella massima in 249 giorni.
Lo studio di PWC ha poi svolto un’analisi ufficiosa sui reali tempi nei vari fori italiani per capire se la durata teorica rispecchia quella pratica sul campo.
I dati sono interessanti e sensibilmente diversi a seconda della territorialità analizzata; si va dalle buone pratiche di Trieste, Bolzano che riescono nell’impresa di restare al di sotto della durata minima necessaria a quelle relative alle province di Firenze, Venezia e Palermo per esempio, che si tengono all’interno del range teorico. Capovolgendo la classifica troviamo delle tempistiche veramente alte con il record negativo che va a Napoli con addirittura 691 giorni di media, con Taranto e Catania poco al di sopra (637 e 592 giorni).
Questi dati erano relativi al recupero crediti tramite il Tribunale. Se prendiamo in considerazione le pratiche passate per il Giudice di Pace vediamo come la situazione sia praticamente la medesima con alcuni miglioramenti e alcuni peggioramenti a seconda della provincia; un dato da sottolineare purtroppo in negativo è ancora una volta quello del Foro di Napoli che arriva a ben 886 giorni mentre Roma, in entrambe le classifiche tra le ultime posizioni, vede un aumento dei giorni dai 440 del Tribunale ai 560 del Giudice di Pace.
Altri numeri interessanti sono quelli relativi al numero di processi pendenti per i quali questa volta il record va a Roma con Napoli subito dietro e Milano nella terza piazza. Infine ultimo dato statistico è quello relativo al numero di pratiche in capo ad un singolo Magistrato che vede Bari al top della classifica con addirittura 647 pratiche (dati 2013).

Vedendo questi  numeri non si può non concludere che finire in una procedura di recupero crediti è un problema che porta dietro perdite di tempo e risorse non indifferenti.
La soluzione migliore è certamente quella di svolgere un’analisi dell’affidabilità di un potenziale partner commerciale e di monitorare quelli attuali e che hanno a che fare con grandi somme.
Quanto il danno è ormai fatto invece la soluzione migliore è quella di rivolgersi al proprio legale e di svolgere indagini dedicate al recupero crediti accurati per poter individuare i beni aggredibili del debitore ed andare a colpo sicuro con il pignoramento.

 

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