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In questo periodo di adattamento a una nuova normalità, continuare a tutelare i diritti di dipendenti e imprenditori è un obiettivo primario. Con il Decreto Rilancio è stata attivata la sospensione dei licenziamenti per motivi oggettivi, ma se la condotta del lavoratore lede il rapporto di fiducia instaurato con l’azienda, è legittimo il licenziamento per giusta causa.

Prosegue il blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo

Il diritto al lavoro è uno dei principi costituzionali più sentiti, in particolare durante la crisi economica e occupazionale che fa seguito all’apice dell’allarme sanitario. Nell’eccezionalità di questo contesto sociale, per mantenere stabili i livelli occupazionali, il Governo ha decretato la sospensione delle procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a prescindere dalle dimensioni delle aziende o dal loro organico.

Il periodo iniziale di sospensione dei licenziamenti quando dovuti agli effetti del Covid-19 era di 60 giorni, a partire dal 17 marzo (art. 46 del Decreto Cura Italia, D.L. 18/2020). Lo scorso 17 luglio, la conversione in Legge n. 77/2020 del Decreto Rilancio ha poi sancito la continuità della sospensione dei licenziamenti per motivi economici e ne ha prorogato i termini fino al 17 agosto.

L’entrata in vigore del Decreto Agosto (D.L. 104/2020) ha prolungato lo stop ai licenziamenti (art. 14), parallelamente alla proroga dello strumento della Cassa Integrazione. Le sospensioni non si applicano nei casi di cessazione dell’attività imprenditoriale, di liquidazione della società senza continuazione dell’attività o nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale.

Criteri di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e soggettivo

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è da ricercare nelle condizioni economiche e organizzative in cui si trova un’azienda. Si distingue dal licenziamento disciplinare, che è invece imputabile alla condotta del singolo lavoratore.
In generale, il principio di scissione del rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo è legittimo se utilizzato come extrema ratio, ovvero quando il dipendente non ha modo di essere ricollocato all’interno della stessa azienda, nemmeno ricoprendo mansioni di livello inferiore a quelle svolte.

Dall’inizio del periodo di emergenza sanitaria, non è possibile licenziare un dipendente per mancanza di lavoro. Anche se non scaturite dagli effetti della pandemia, l’art. 80 della Legge n. 77 del 17 luglio 2020 ha sospeso le procedure collettive di riduzione del personale. Insieme a queste, ha vietato i licenziamenti per superamento del periodo di comporto se la malattia è dovuta a Covid-19 (ai sensi dell’art. 26 del Decreto Cura Italia, il periodo di assenza trascorso in quarantena domiciliare con sorveglianza attiva non deve essere computato ai fini della maturazione del periodo di comporto). Infine, l’integrazione allo stesso art. 80 prevede la revoca e annullamento dei licenziamenti individuali avviati dopo il 23 febbraio.

Tuttavia, restano esclusi dalle disposizioni legali i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo e per giusta causa. Si tratta di casi in cui il dipendente si rende protagonista di episodi negativamente rilevanti, anche di gravità tale da produrre un licenziamento in tronco.

Si può licenziare per giusta causa anche nel post emergenza

I licenziamenti disciplinari per eccellenza comprendono la casistica di illeciti comportamentali che pregiudicano in modo insanabile il rapporto di fiducia tra dipendente e azienda. Nei licenziamenti per giusta causa, la conseguenza è la risoluzione immediata del contratto di lavoro, senza preavviso da parte dell’azienda.

Nella giusta causa di licenziamento disciplinare figurano, ad esempio, le ipotesi di diffamazione dell’azienda o suoi prodotti, la sottrazione indebita di beni aziendali, l’utilizzo di un falso certificato di malattia, l’abbandono del posto di lavoro per più di 4 giorni senza motivazione, la concorrenza sleale, la prestazione di lavoro per altri durante il periodo di ferie, l’uso illecito dei permessi malattia o ex legge 104/92.

Questo tipo di provvedimento rimane una fattispecie in cui possono rientrare diverse situazioni, quando si valutano di elevata gravità. In questa eventualità, l’onere della prova è in capo al datore di lavoro, che può rivolgersi a società specializzate in investigazioni aziendali. Il valore degli elementi reperiti e riproducibili in sede giudiziaria può decretare l’esito positivo dei provvedimenti attuati dall’azienda, come nelle sentenze n. 12810/2017, o n. 4670/2019.
Il supporto di società come Abbrevia e il dossier investigativo prodotto sono utili all’azienda non solo durante la fase giudiziale, ma anche come mezzo per concludere la controversia in via stragiudiziale.

Oltre le normative, vince il senso di responsabilità

Licenziare per giusta causa è lecito se il comportamento del dipendente ha conseguenze nell’ambiente di lavoro tali da far perdere la fiducia nei suoi confronti. In un rapporto di lavoro, infatti, si persegue l’equilibrio tra gli interessi di entrambi i contraenti, indipendentemente dalle direttive connesse alle prestazioni richieste o dovute.

Gli obblighi reciproci non si esauriscono con la mera osservazione degli accordi contrattuali o delle singole norme: questo perché la buona fede contrattuale (art. 1375 Codice Civile) è un’espressione giuridica di un più ampio dovere di solidarietà. Per questo, ad esempio, non vi è garanzia di tutela nei casi di comportamenti dannosi in situazioni di rischio elevato e probabile, come riferito nelle sentenze n. 14726/2002, n. 9141/2004 e n. 1699/2011 della Cassazione, Sez. Lavoro.

I licenziamenti per giusta causa possono pertanto essere evitati facendo prevalere il senso di responsabilità e rispetto. Un dovere che, soprattutto in momenti delicati come quello che stiamo attraversando, diventa ancora più significativo.

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